"C'era tutto: era la nostra vita"
#100 anni dalla nascita di Franco Basaglia. Il racconto di Silvana Norcio
Care pelli,
Pelle Atopica è ritornata con un nuovo capitolo al sapore di rivoluzione.
Questo mese leggerete dei racconti inediti che rendono omaggio allo psichiatra Franco Basaglia: un’edizione speciale nata dal desiderio di riscoprire sempre più voci umane che possano contaminare il mondo e renderlo un posto migliore.
Ed eccomi qui, a condividere con voi la voce e l’esperienza vissuta da Silvana Norcio, ex-assistente sociale dell’équipe basagliana assieme al marito Bruno Norcio, psichiatra nel nucleo storico dei “ragazzi di Basaglia”.
Le parole che leggerete e ascolterete sono state pronunciate all’Antico Caffè San Marco di Trieste, da una poltroncina comoda e da sorseggi di tè; intonate da Silvana Norcio che si trasferì a Trieste, negli anni ’70, per conoscere e sperimentare la pratica basagliana.
Emozionata e curiosa insieme, non mi sono fatta scappare l’occasione: volevo ascoltare la sua voce e sentire la sua pelle toccata da altre pelli impregnate d’umano.
Volevo respirare gli anni dell’atmosfera basagliana, quella rivoluzione culturale culminata con l’apertura del manicomio nella città di Trieste.
“Non me lo posso dimenticare”
“Un’esperienza travolgente”
“Da Catania, approdai a Trieste nel 1971 con il mio fidanzato dell’epoca: io assistente sociale, lui psichiatra. Nella psichiatria e nei servizi sociali imperversava una situazione drammatica, di un’arretratezza spaventosa. Poco più che ventenni e con il desiderio di cambiare il mondo scegliemmo la città di Basaglia per conoscere di persona lo psichiatra su cui avevamo già letto molto.”
Com’era Franco Basaglia?
“Agli inizi lavoravamo nell’ospedale psichiatrico di Gorizia per la chiusura del manicomio: un lavoro di gruppo per riprendere in mano la vita di queste persone considerate numeri, cartelle cliniche o ancor peggio diagnosi, trovate in condizioni disumane. Abbiamo ricostruito le loro storie.
Nei manicomi le persone erano espropriate di tutto, anche del loro nome. Non avevano oggetti o familiari vicini; non uscivano da decenni da quegli spazi. Erano confinati.”
»I MATTI
“Nei primi anni di questa rivoluzione è stato pazzesco: vivevamo con gli utenti, non c’era un orario per andare a casa, si stava lì e si lavorava con loro. Nessuno, poi, voleva affittare gli appartamenti ai matti e gli operatori stessi si intestavano le case per farci vivere loro.”
“Un cambiamento radicale per la vita di queste persone, accompagnate dagli infermieri a comprarsi i vestiti, dal parrucchiere e in pizzeria: nei posti più belli ed eleganti. Le reazioni delle persone intorno erano di vario tipo”, mi racconta Silvana Norcio, sorridendo.
“Era meraviglioso anche per noi che lavoravamo per loro: erano contenti.”
“Abbiamo restituito loro l’idea del possesso delle proprie cose. Negli anni ’70, a San Giovanni, c’era un gruppo appartamento con donne anziane. Queste persone hanno iniziato a gestire, con l’aiuto della capa infermiera, le loro pensioni di invalidità o di vecchiaia. Andavano a prendere il caffè e facevamo pagare loro.
Abbiamo accolto i loro desideri: dai buchi alle orecchie all’acquisto di collane dal gioielliere.
Le persone devono vivere nel bello; anche questo ci ha insegnato Basaglia. Vivere nel bello fa star bene. I centri di salute mentale, in funzione a Trieste dagli anni ’70, sono stati arredati con manifesti coloratissimi, arredamenti non ospedalieri e soprattutto non manicomiali. È stato fatto un grande lavoro.
E, nel frattempo, arrivavano operatori da tutto il mondo. Tutti volevano sapere di questo movimento e di questa terapia.”
“Abbiamo aiutato le persone a riappropriarsi della loro vita.”
MARCO CAVALLO #1
MARCO CAVALLO #2
“Era eccitante, divertente, interessante, pesante, stancante, innervosente. C’era tutto: era la nostra vita.”
»IL LAVORO CHE RESTITUISCE DIGNITÀ
“Con le cooperative sociali e l’introduzione delle borse lavoro, abbiamo restituito dignità ai matti. Dai primi anni ’70 abbiamo anche iniziato ad inserire le persone in percorsi di lavoro reali, come ad esempio nelle fabbriche.
Si preparava il terreno con i capi reparto, si facevano degli incontri e si raccontava la storia della persona.
Nelle riunioni di fabbrica partecipavano medici psichiatri ed infermieri: in questi incontri periodici voluti dalle aziende per gestire eventuali problemi, i medici rassicuravano i datori di lavoro che le persone non erano pazze.
»LA PRATICA BASAGLIANA
“Entrare in empatia con i pazienti, lavorare con loro a livello personale cercando di capire i loro bisogni: questa è la pratica basagliana.
Abbiamo iniziato a contattare le famiglie delle persone recluse, gli affetti di un tempo e le persone che non vedevano da una vita.
C’è stato un grande lavoro degli infermieri con gli psichiatri. Le persone nel manicomio sono state rivestite perché non erano abituati ad avere oggetti ed abiti personali: non possedevano nulla; niente era loro. Abbiamo dato loro gli armadietti con la chiave, insegnandogli come aprirli e dicendo che lì avrebbero custodito i loro effetti personali.
L’ospedale si è aperto alla città di Trieste. Sono state organizzate delle feste a San Giovanni con i pazienti.
Il Parco di San Giovanni non era più quel posto confinato ed immobile nel tempo.
C’erano anche le riunioni affollatissime delle 5. Partecipavano gli utenti, gli infermieri, i medici, i volontari, gli assistenti sociali. Si discuteva dei problemi e delle esigenze nell’ospedale e all’esterno.
Il rapporto con le istituzioni, poi, era sempre difficile e conflittuale. L’ospedale psichiatrico era di competenza della provincia e noi abbiamo avuto la fortuna di trovare una persona come Michele Zanetti che è stata al nostro fianco: ci ha fatto da battistrada per ottenere dei lasciapassare.
Già l’aver ottenuto dei reparti aperti era un tempo impensabile perché destava preoccupazione: non conoscere i pazienti faceva paura.
Noi abbiamo dimostrato che entrandoci in relazione, i matti non erano mostri ma persone con i loro bisogni, affetti, malinconie e desideri.”
»LA LEGGE 180/78
“La chiusura del manicomio non significava abbandonare le persone a sé stesse: è una presa in carico diversa.
Portare fuori dal manicomio le persone voleva dire accompagnarle con un progetto personalizzato, dal rientro in famiglia alla vita in un gruppo-appartamento dove potevano essere seguite e assistite.
Si sono aperti, contestualmente, anche i centri di salute mentale nel giugno del 1975: il primo è stato quello di Barcola dove ho conosciuto Franco Rotelli (dal 1979 al 1995 Direttore dell'Ospedale Psichiatrico di Trieste e molto altro), che lavorava lì come primario.
“E’ stato tremendo perdere Basaglia perché era un grosso punto di riferimento ma, per fortuna, l’équipe aveva ereditato il pensiero basagliano, l’aveva sperimentato e continuava a sperimentarlo.”
»TRIESTE NEL MONDO
“Il mondo ci chiamava per conoscere da vicino la pratica basagliana.
C’erano dei referenti per ogni continente: mio marito Bruno Norcio, ad esempio, lo era per il Giappone.
A un certo punto, sono andata anch’io a Tokyo con mio marito, contattato da un gruppo di avvocati per una consulenza prima della presentazione in Parlamento della nuova legge sulla psichiatria ispirata alla 180.
Arrivavano anche qui a Trieste dei gruppi di operatori a vedere i servizi della psichiatria e qualcuno doveva accompagnarli: medici, psicologi, infermieri. Una era la domanda che ci facevano più spesso:
“Ma quelli proprio pericolosi dove stanno?”
È necessario anche raccontare la liberazione dalla contenzione nei manicomi: l’elettroshock veniva presentato come una terapia sulle persone depresse o agitate, ma era una forma di sopraffazione e di violenza incredibile. Per non parlare della lobotomia: le persone non riuscivano più a stare in piedi in maniera equilibrata; veniva tolto loro il presunto centro dell’aggressività recidendo le connessioni della corteccia prefrontale dell’encefalo.
»E OGGI, COS’È RIMASTO DI BASAGLIA?
“A Trieste è rimasto.
Ma la lotta ai manicomi non è finita: il manicomio non è solo l’ospedale ma anche un piccolo appartamento dove si tengono le persone con problemi mentali oppure uno spazio gestito in maniera manicomiale. Manicomio può essere anche la casa di riposo o il carcere.
In Italia ci sono tanti piccoli “manicomietti”, non si può dormire sugli allori nonostante la legge contro i manicomi. Il manicomio si è trasformato; prende altre sembianze.
E, intanto, i “big” della psichiatria basagliana sono andati in pensione e man mano stanno morendo come mio marito Bruno Norcio che non c’è più da sette anni e faceva parte del nucleo storico basagliano.
È morto Domenico Casagrande, Vieri Marzi, Agostino Pirella, Enzo Sarli. Sono morti quelli che hanno aperto la strada, a suo tempo “i giovani di Basaglia”. Adesso ci sono delle persone che lavorano seguendo il pensiero basagliano, per esempio a Trieste c’è lo psichiatra Mario Colucci. Lui, come tanti altri, possono incidere ancora.”
Fine. (O forse un inizio?)
» Pelle Atopica torna tra un mese (circa). A presto!
P.s.: cosa ne pensi, pelle, di questa newsletter diversa dal solito?
Sarò felice se lascerai un commento qui o su pelle.atopica@gmail.com ;)